LETTERA A RAHMATULLAH

Caro Rahmat,
l’ultima volta che ci siamo abbracciati – era lo scorso luglio – ci eri venuto incontro a metà strada tra Kabul e Lashkargah.
Su quella strada pericolosissima ci hai poi accompagnato sino all’ospedale di Emergency, come tante altre volte hai fatto. Il tuo era un abbraccio forte, rassicurante e si leggeva nel tuo sorriso la gioia che fossimo arrivati incolumi sino lì; come poi, durante il proseguo del viaggio, si leggeva nei tuoi occhi attenti la preoccupazione, la tensione, perché ti sentivi responsabile per noi.  Eri senza armi, come tutte le "guardie" di Emergency. Non abbiamo mai circolato protetti da scorte armate.

E’ vero che il logo di Emergency sulle auto è già una sicurezza, ma, e tu lo sai bene, in guerra mai nessuno è al sicuro.
Ci conosciamo ormai da molti anni Rahmat, abbiamo riso e scherzato insieme quando noi bevevamo whisky e tu the freddo.
Siamo così amici che le differenze di cultura e di religione per noi sono diventate solo un elemento di gioco. Come io, Gino, Marina, Claudio e tanti altri di Emergency siamo diventati insieme a te un po’ afgani, tu sei diventato insieme a noi un po’ italiano.
Credo sia anche per questo che quando hai raggiunto Daniele Mastrogiacomo per liberarlo tu gli abbia detto: “Adesso sei al sicuro, con me è come se fossi già in Italia”.
Lo abbiamo imparato insieme negli ospedali quanto poco o niente conti la nazionalità o la religione o la parte politica, quando il corpo è ferito. Quante volte hai rischiato, per consentire ad un “nemico” di poter raggiungere l’ospedale ad avere una chance di salvarsi: tante che, per te come per noi, è diventato un fatto naturale al quale nemmeno si pensa.
Eppure, dopo tanto lavorare a fianco di italiani, davvero un po’ italiano, seppur per gioco, ti sentivi.
E devi esserti stupito quando, il giorno dopo la liberazione di Daniele, gli uomini armati di Karzai, alle cinque di mattina, hanno fatto irruzione in casa tua per portarti via. Devi aver pensato ad un equivoco, ad un errore che si sarebbe presto risolto.
Quante volte abbiamo visto insieme negli occhi dei feriti lo stupore oltre che il dolore. Non so se mentre ti torturavano lo stesso stupore fosse nei tuoi occhi. Per il governo italiano, Rahmat, tu non sei italiano nemmeno un po’ e per la tua sorte le ragioni della politica contano più di quelle umane che abbiamo sempre condiviso.
Non avrei mai pensato di scriverti una lettera senza nemmeno sapere se un giorno potrai leggerla, perché ero sicuro di incontrarti sempre di persona quando vengo in Afghanistan.
Ti posso solo chiedere scusa e giurare che faremo di tutto perché si possa di nuovo brindare insieme, tu con il the, noi con il whisky.

Vauro – tratto da  peace reporter

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