Il rapimento di Alan Johnston, è un atto criminale, ma anche un calcolo politico.
Il reporter della Bbc Alan Johnston, rapito a Gaza, è ancora nelle mani dei suoi rapitori. Non ci sono notizie sulle sue condizioni di salute e nemmeno sulle trattative per il suo rilascio. Il suo sequestro è ormai durato più di quelli di tutti i giornalisti e gli operatori umanitari rapiti prima di lui, forse perché attorno alla sua liberazione si è aperta una contesa politica oltre che umanitaria.
Il sequestro. Sono diciotto le persone rapite a Gaza lo scorso anno, tra giornalisti e operatori umanitari, e tutte sono state liberate nell'arco di poche ore. Il sequestro dei due corrispondenti della rete Fox, l'estate scorsa, era durato due settimane, al termine delle quali erano stati rilasciati illesi. Johnston è stato sequestrato il 12 marzo a Gaza city da uomini armati, da allora non ci sono più state sue notizie e non si sa se i rapitori abbiano posto delle condizioni per il suo rilascio. Il reporter 44enne era l'unico corrispondente internazionale rimasto fisso a Gaza, dove viveva da tre anni, e avrebbe dovuto ritornare in Gran Bretagna alla fine di marzo. In suo sostegno e per la sua liberazione si è mobilitata la lega dei giornalisti di Gaza, che ha organizzato due scioperi di 24 ore. Lunedì anche i giornalisti della Cisgiordania hanno manifestato a Ramallah, insieme alla stampa internazionale e al sindacato della stampa palestinese. Il presidente Abu Mazen e il premier Haniyeh hanno promesso di fare tutto il possibile per liberarlo quanto prima. Secondo l'Autorità Palestinese il rapimento di Johnston è un atto criminale, non politico, e gli autori fanno parte di una potente tribù della Striscia di Gaza: la famiglia Dogmush, un clan vicino ai Comitati di Resistenza Popolare, gli stessi che rapirono i giornalisti della Fox. Un membro di quel clan, Mumtaz Dogmush, è stato a capo dell'Esercito Islamico, la milizia ritenuta responsabile della cattura del caporale israeliano Gilad Shalit, avvenuta nel giugno scorso al confine tra la Striscia di Gaza e Israele.
Un gioco più ampio. Il rapimento di Johnston è avvenuto in un momento delicato per l'Autorità Palestinese, da marzo a oggi si è sbloccata la crisi politica ed è stato formato un governo di unità nazionale. Il nuovo esecutivo si è però subito scontrato con il mancato riconoscimento da parte di Israele e della comunità internazionale, che per il momento non sembrano intenzionati a rimuovere l'embargo imposto sull'Autorità Palestinese. I politici Usa e britannici, in particolare, hanno dichiarato che avranno rapporti solo le componenti del governo non legate ad Hamas. “C'è molta preoccupazione -ha dichiarato Simon Mc Gregor-Wood, capo dell'Associazione per la Stampa Straniera a Ramallah- per qualche ragione, legata alla complessità della situazione attuale, Alan potrebbe essere diventato parte di un gioco molto più ampio, il che ci fa temere che la sua prigionia potrebbe protrarsi a lungo”. Una mossa di questo gioco si è vista giovedì scorso, quando il console generale britannico a Gerusalemme, Richard Makepeace, ha incontrato il premier palestinese per discutere del rapimento, un colloquio che i palestinesi hanno cercato di capitalizzare, presentandolo come il primo tra un diplomatico britannico e uno di Hamas. “Mi sembra un buon progresso” ha commentato il neo ministro dell'Informazione, Mustafa Barghouti, “non è ragionevole fare differenze tra i ministri di uno stesso governo”. Israele ha condannato l'apertura britannica verso Hamas: “questo incontro mina la nostra politica e apre le porte a futuri rapimenti” ha dichiarato un ufficiale israeliano. Barghouti, ha replicato sottolineando che certe forme di estremismo nascono dall'estrema povertà: “L'80 percento della popolazione palestinese vive sotto la soglia della povertà -ha spiegato-. La disoccupazione è al 50 percento e l'embargo internazionale priva i palestinesi del 70 percento delle entrate”.
di Naomi Tomasini / tratto da peacereporter